La prima condanna per riduzione in schiavitù in Italia

Valentina Ricci

5/7/20252 min read

È di mercoledì 30 aprile la notizia della conferma definitiva, da parte della Corte di Cassazione, della condanna per il reato di riduzione in schiavitù per i caporali che, tra il 2008 e il 2011, hanno fornito braccianti per raccogliere pomodori e angurie nelle campagne di Nardò, in provincia di Lecce.

La sentenza convalidata dalla Cassazione risale al 2017 ed è storica perché per la prima volta riconosce l’esistenza della schiavitù sul territorio italiano anche in campo giuridico, e non solo nel lessico informale delle associazioni, dei sindacati o dei media.

Secondo la Cassazione, le catene che legavano i braccianti non erano fisiche, ma risiedevano «nella totale mancanza di risorse, l’assenza di alternative lavorative ed esistenziali, la scarsa conoscenza della lingua, l’ignoranza dei loro diritti». Insomma, per la povertà e l’isolamento sociale in cui erano tenuti dai caporali, i braccianti erano costretti nella condizione in cui si trovavano e non potevano trovare un’alternativa dignitosa.

Il pronunciamento arriva dopo tredici anni di lotte e processi, assoluzioni e ricorsi, iniziati il 29 luglio del 2011, quando, dalla masseria Boncuri, Yvan Sagnet decise di ribellarsi alle condizioni di lavoro proibitive a cui erano costretti lui e tutti gli altri raccoglitori. A quella piccola ribellione si unirono sindacati, associazioni e istituzioni, e nel giro di pochi giorni si bloccò la raccolta di pomodori di tutto il Salento.

Negli anni il processo Sabr - così chiamato dai media, dal nome di uno dei caporali - ha determinato tappe fondamentali della lotta al caporalato. Per citarne alcune: la promulgazione di una legge contro il caporalato (199/2016) e la fondazione, da parte di Sagnet, dell’associazione No Cap, per una filiera della produzione agricola che rispetti la dignità dei lavoratori.

Dal pronunciamento del 30 aprile sono stati esclusi gli imprenditori, considerati inconsapevoli del fatto che le condizioni di sfruttamento fossero determinanti di un effettivo stato di schiavitù.

Vocabolario:

  • Caporali: persone che praticano il caporalato, ovvero una forma illegale di reclutamento e organizzazione della manodopera nel lavoro dipendente. I caporali sono chiamati anche intermediari, perché forniscono tale manodopera per terze parti, solitamente aziende agricole o edili; i dipendenti così assunti vengono sfruttati, essendo costretti a lavorare per molte ore in cambio di paghe misere, e in generale a vivere in condizioni che ledono la dignità umana.

    In Italia le forme di caporalato più conosciute sono quelle delle aziende agricole del sud Italia (in particolare in Puglia e in Calabria), ma alcuni casi sono stati riscontrati anche in Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia e Veneto.

  • Yvan Sagnet: camerunense, giunto in Italia nel 2008 per studiare ingegneria delle telecomunicazioni al Politecnico di Torino. Nel 2011, per bisogno di soldi si dirige in Puglia, a Nardò, per raccogliere i pomodori e subito si rende conto delle anomalie del lavoro. Inizia una protesta nella masseria Boncuri, grazie alla quale si diede inizio al processo Sabr. Nel 2016 ottiene il titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e nel 2022 ottiene la cittadinanza. Nel 2011 fonda l’ente per il terzo settore No Cap, con il quale definisce un percorso di “filiera agricola etica” che coinvolge tutti gli attori della produzione agricola in modo alternativo e antitetico al caporalato.

  • Legge contro il caporalato (199/2016): legge promulgata nel 2016 che in 12 articoli definisce il reato di caporalato e ne indica le pene corrispondenti. Prima di questa in Italia si faceva riferimento all’articolo 603-bis del 2011, incompleto e impreciso.

Le fonti che sono state consultate per scrivere questo articolo: